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Comportamento alimentare

Se state leggendo questo articolo, forse siete interessati a capire cos’è il comportamento alimentare, come si sviluppa e quali esigenze assolve. Ma anche quando e come riconoscere i Disturbi del comportamento alimentare (DCA).

Se è così, allora mettetevi comodi, si comincia!

Verso una definizione del termine “alimentazione”.

L’enciclopedia dei ragazzi TRECCANI recita così:

“..l’alimentazione è l’assunzione di alimenti che assicura la nutrizione, ossia l’insieme delle attività chimiche e fisiche che mantengono equilibrata e costante la composizione chimica dell’organismo. Tali attività, infatti, permettono la ricostituzione delle perdite materiali ed energetiche che consentono nei giovani la crescita o nelle gestanti le modifiche dell’organismo materno e lo sviluppo del feto. La nutrizione infine mantiene attive le difese biologiche e consente l’efficienza fisica e psichica dell’individuo.”

Quindi la prima cosa che scopriamo è che ALIMENTAZIONE e NUTRIZIONE non sono sinonimi come è d’uso nel gergo comune.

Anzi sono due processi distinti che, sebbene intimamente interconnessi, risultano invece separati ed indipendenti l’uno dall’altro. In altre parole, l’alimentazione (ingerire alimenti) consente lo step successivo, la nutrizione appunto (tutte le attività biologiche, chimiche e fisiche che mantengono lo stato di salute).

Ciò significa che ogni volta che mangiamo non vuol dire necessariamente che il cibo che stiamo ingerendo poi ci nutra effettivamente.

categorie di nutrienti
Cerchiamo di essere più chiari.

Quando ingeriamo cibo (ci alimentiamo), questo dev’essere in quantità ed in qualità adeguate al fabbisogno del proprio corpo; solo così si attiva una sana ed efficace nutrizione. L’organismo cioè potrà iniziare a trasformare tutto ciò che abbiamo ingerito in qualcosa di utile (energia, vitamine, proteine, carboidrati, ecc..). In questo caso la nutrizione seguirà l’alimentazione.

Viceversa se ad esempio l’organismo ha già una buona scorta di vitamine o al contrario ne è carente, e ci si alimenta con cibi che ne contengono troppe o troppo poche rispetto alle esigenze, l’alimentazione non genera nutrizione; al contrario attiva una serie di processi che hanno il compito di sopperire allo squilibrio che stiamo creando.

Ma allora perché ho sempre voglia di un certo tipo di alimenti? Cosa influenza il comportamento alimentare?

A tal proposito l’Enciclopedia Italiana IX Appendice (2015) TRECCANI dice:

“Il comportamento alimentare risponde a esigenze diverse: biologiche (la necessità di introdurre attraverso gli alimenti l’energia e i nutrienti necessari al nostro fabbisogno), psicologiche (il cibo è capace di stimolare le nostre emozioni, acquietare la nostra ansia o la nostra depressione), sociali (i comportamenti alimentari sono condizionati da rituali, prescrizioni, divieti e mode socialmente definiti) ed economiche (la scelta degli alimenti risponde alla disponibilità economica del consumatore o alla fruibilità del cibo) (cfr. Cuzzolaro 2004). Il mancato rispetto delle esigenze biologiche, a causa di motivazioni psicologiche/sociali/economiche, comporta un’alterazione dello stato di nutrizione con conseguenze sul piano clinico e funzionale.”

Bambino mangia ciambella donut

In altre parole, le variabili che influiscono sul comportamento alimentare sono molteplici, e solo un buon equilibrio tra esse garantisce un adeguato stile alimentare. Non a caso la cura dei DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare) è opportuno che abbia, dove possibile, un approccio multidisciplinare; un metodo cioè che intervenga sia sull’aspetto medico che su quello psicologico tanto quanto sulle dinamiche socio-familiari, al fine di ripristinare l’equilibrio perduto.

Dalla bocca alla psiche, e dalla psiche alla bocca. Il viaggio delle emozioni.

La fase orale

L’essere umano nasce in una condizione di estrema e totale dipendenza. È solo grazie alle cure genitoriali se sopravviviamo al primo anno di vita; ci danno da mangiare, ci proteggono, si prendono cura della nostra salute. Iniziano cioè sin da subito ad avere la possibilità di nutrirci oltre che alimentarci.

Il momento della pappa è probabilmente quello con il gesto più carico di significato simbolico con cui ci percepiamo accolti e curati, oppure no; è il momento che più di tutti veicola affetto, contenimento, calore, o a volte fatica, nervosismo, stress e tensioni. Il primo messaggio di un Sé prezioso e “meritevole d’amore”, o al contrario di un Sé “indesiderabile” e “problematico”, trova nell’alimentazione un eccezionale viatico.

Papà da la pappa al bambino

Non a caso, Sigmund Freud, il “padre della psicoanalisi”, identifica la prima tappa evolutiva dello sviluppo dell’uomo come Fase Orale. Si accorse infatti che le sensazioni sperimentate attraverso la bocca durante i primissimi mesi di vita, segnano un passaggio fondamentale per il futuro del bambino. Esse determinano sostanzialmente il primo imprinting ovvero la prima rudimentale immagine di chi siamo, come siamo, cosa ci da piacere e cosa invece ci angoscia.

Lo svezzamento è il primo passo concreto verso una INDIVIDUAZIONE del bambino

Durante il primo anno di vita il cucciolo d’uomo viene alimentato dapprima esclusivamente con il latte materno e/o i suoi surrogati; poi arriva gradualmente il momento dello svezzamento. Il genitore cioè inizia a sostituire parte del latte con altri tipi di alimenti; il gusto e lo psichismo del bambino scoprono nuovi orizzonti del tutto inaspettati. Un nuovo tipo di piacere/dispiacere per il palato con cui il bambino impara a familiarizzare, e a cui impara a reagire per averne ancora o per fermare quell’esperienza.

Ma evidentemente non è solo un fatto di alimenti e gusto. È invece una questione soprattutto di relazione, di condivisione emotiva, e di quantità più che di qualità. Poiché il bambino in questa fase inizia a dare armonia alle disordinate reazioni che aveva nei primi giorni di vita; inizia cioè a renderle personali, sue, secondo la propria propria emergente predisposizione caratteriale.

Esempio 1 – Carlo

Il genitore sta imboccando Carlo con la mela grattugiata; al bambino quel sapore piace molto, ma quello per il genitore è un periodo tanto difficile. È stressato, il bambino piange spesso di notte, ed il lavoro precario non aiuta. Quando imbocca il bambino, lo fa nervosamente, deve sistemare ancora diverse cose in casa e poi correre in ufficio perché non può più assentarsi; il capo è stato chiaro. Il bambino però vuole conoscere oltre che mangiare; mette le mani nel vasetto, cerca di toccare il cucchiaio. Quella consistenza e quel tepore gli danno piacere, vuole giocarci, adora impiastricciarsi. Sta imparando. Il genitore invece è sempre più nervoso, il tempo stringe e suo figlio non capisce, perde tempo, ma di tempo da perdere non ce n’è. Decide di incalzare con le cucchiaiate, bisogna sbrigarsi, e la pazienza per aspettare è finita.

Per fortuna arriva la babysitter, che poi è anche sua nonna, continuerà lei; il genitore invece ora deve proprio andare, avrebbe voluto farcela ma non è stato possibile. È frustrato per questo, e si sente anche in colpa per dover lasciare suo figlio ma quello stronzo del capo non ne vuole più sapere di permessi, ferie o malattie. Il tono di voce è alto e rabbioso, angosciante per il piccolo, e la pappa di mela ormai è spalmata ovunque. Un ultimo gesto, la bavettina strofinata con forza sul musetto e sulle mani per ripulirle prima di uscire veloce dalla porta di casa. Il piccolo non può comprendere cosa sia successo, ora però è solo e quella rabbia l’ha sentita sulla pelle; non sa cosa sia ma avverte paura. La nonna ce la mette tutta per tranquillizzarlo, ma lui ora la mela non la vuole più!

bambino sporco di pappa
small baby boy is learning to eat

La nascita della personalità

A questo punto le possibilità, o meglio le sfumature delle possibili reazioni del bambino sono infinite; di certo possiamo solo affermare che dipenderà da molti fattori, che insieme contribuiranno a processare mentalmente l’esperienza appena fatta. Non solo. Dipenderà anche da quante volte nell’arco della sua infanzia, e poi della sua adolescenza, farà esperienze a cui attribuirà significati simili.

Con il passare degli anni, questa prima impronta, a seconda degli eventi e delle dinamiche familiari che si consolideranno, crescerà e si evolverà in un’immagine di Sé psicologicamente matura. Una personalità adulta che conterrà tanto le esperienze positive quanto quelle negative; un’immagine chiaramente definita, in cui i propri pregi e le proprie difficoltà godranno della stessa risonanza. E soprattutto un’immagine il cui contorno sancirà in maniera chiara il limite tra il Sé e l’altro, tra le proprie e le altrui emozioni. In questo caso il viaggio è compiuto; l’adulto maturo e consapevole è capace di esprimere attraverso la bocca, con la parola, i pensieri circa la sua vita emotiva. Quella che è e quella che è stata.

Potrà capitare però anche che ciò non accada.

Potrà succedere ad esempio che un’impronta negativa resti tale nonostante il tempo e la disponibilità di risorse cognitive mature; e questo perché le esperienze che avrà percepito come negative ed angoscianti saranno state troppe per lui. L’individuo adulto continuerà a sentirsi sbagliato e difficile da amare; la rabbia o le critiche verso ciò che non gli riesce potrebbero essere fonte di profonda angoscia, o potrebbe essere molto difficile riconoscersi un valore, vedersi bene.

Tutto ciò sebbene ormai non ne ricordi più il motivo. Sarà un ri-attuare continuamente nella vita e nelle relazioni “contemporanee” quelle dinamiche e quei vissuti emotivi che molti anni prima non è riuscito a superare. La bocca, o il corpo in generale, in questo caso possono diventare essi stessi “parola”; non più strumento di espressione matura di pensieri ma messaggio intrinseco, non esplicito, e altamente simbolico di una vita emotiva non pensata.

donna mangia ma pensa ad altro

Il corpo sotto attacco: i Disturbi del comportamento alimentare

Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, quando la maturazione del Io, dell’immagine del Sé e quindi anche della personalità, non evolve in maniera sana, il rischio di perpetuare dinamiche e vissuti emotivi disfunzionali è molto alto. A volte a farne le spese è “solo” il benessere psichico, altre volte però anche il corpo paga dazio.

È il caso dei Disturbi del Comportamento alimentare.

Accade cioè che la persona senta un dolore emotivo fortissimo perché si sente senza valore, piena di difetti e impossibile da amare; se poi le condizioni che l’hanno portata a ciò si protraggono, l’angoscia provata diventa talmente forte che il soggetto stesso la nega per non soccomberle. Gradualmente si notano comparire molti segnali di un controllo ossessivo su vari aspetti della quotidianità; vestiario che annulla le forme, relazioni familiari e sociali aride, abitudinarietà molto rigida, scarsa affettività o irascibilità nei confronti delle dimostrazioni d’affetto. Spesso gli adulti in questa fase confondono questi segnali con i gusti, le preferenze, le abitudini o il nervosismo tipico adolescenziale.

Man mano l’angoscia viene sempre meno riconosciuta poiché va a sovrapporsi con le cose e le persone con cui quotidianamente ci si scontra; “mamma non mi capisce, la odio“, “a scuola mi guardano tutti male, ma non sanno un cazzo di me“, “questa maglia fa schifo, non la voglio più“. Parallelamente le tendenze al controllo invece aumentano a dismisura, tanto che qualsiasi cosa o persona turbi gli schemi ormai strutturati, sortisce una reazione spropositata; liti furibonde per motivi apparentemente futili diventano molto frequenti. La sensazione di chi è osserva è di una forte rigidità di pensiero, come se la persona manchi di quella flessibilità necessaria per adattarsi serenamente ad un casuale imprevisto.

disturbo del comportamento alimentare

Quando c’è il rischio di Disturbo del Comportamento Alimentare?

La fase successiva può essere l’innesto di un Disturbo del comportamento alimentare a tutti gli effetti; il segnale più attendibile che un DCA sia in atto è l’attenzione o al contrario la disattenzione ossessiva nei confronti dei cibi e delle calorie assunte. Non è, come si può credere, una variazione significativa di peso a determinare il disturbo, (la maggior parte dei pazienti DCA infatti è normopeso), ma il rapporto ossessivo-compulsivo che si ha con gli alimenti. Sia quando li si seleziona scrupolosamente che quando li si ingurgita indistintamente, il gesto non è finalizzato alla nutrizione quanto piuttosto ad esorcizzare, mediante il controllo sul corpo, l’angoscia di perdere il controllo sul dolore psichico.

Esempio 2 – Francesca

È il 5° anno della scuola primaria per Francesca. La primavera è ormai arrivata da un pezzo e la scuola sta per finire; è maggio, bambini e maestre sono tutti stanchi dopo un anno tanto impegnativo. Ora hanno voglia di leggerezza e di giochi, anche Francesca ovvio, ma lei fa da sempre tanta fatica a lasciarsi andare. È sempre stata abbastanza taciturna, spesso si isola, qualcuno dice anche che sia antipatica, sempre diffidente e scostante; quest’anno, chi non li ha già compiuti, compirà 10 anni e l’entusiasmo è alle stelle.

La maggior parte delle sue compagne sognano il vestitino da indossare, la festa da organizzare, e ognuna è sicura che la sua sarà la più bella. I genitori di Francesca sono molto alti, e lei è tra le poche ad aver iniziato le elementari a 6 anni compiuti; il suo compleanno c’è stato a gennaio, faceva molto freddo ed alla sua festa sono andate solo in 3 della classe sebbene tra cugini e parenti fossero più di 30. Adesso tra le compagne è la più grande sia d’età che fisicamente; il mese scorso ha anche avuto il menarca. Il suo corpo sta cambiando velocemente, inizia ad arrotondarsi e il nonno dice che le stanno spuntando i “bottoncini” sul petto. Ma lei ogni volta piange e scappa via. “Si vergona“, dicono sorridendo in famiglia.

adolescente si isola
Esempio 2 – La mamma di Francesca

La mamma di Francesca, da ragazzina aveva sofferto molto per la sua statura; sua madre, la nonna di Francesca, si raccomandava spesso di far attenzione al comportamento alimentare, che con un corpo come il suo era un attimo a prendere chili. Lei aveva sofferto molto per questo e non si era mai sentita apprezzata per com’era; invece aveva sempre mal sopportato le raccomandazioni su come non doveva diventare. Aveva deciso che non avrebbe mai fatto lo stesso con Francesca; sua figlia non avrebbe dovuto portare il suo stesso fardello.

Però la preoccupazione per le future forme della bambina era concreta, reale, se vogliamo giustificata, perciò sin da subito le propone solo cibi sani e salutari; evita scrupolosamente tutto ciò che potrebbe indurre un aumento di peso. Tanto che Francesca, quando sente parlare per la prima volta di cioccolata spalmabile è già alle elementari. Inizia a farsi domande: Se è così buona come dicono perché a me non l’hanno data? Mamma dice che fa male, allora perché le mie amiche stanno bene? A scuola ho sentito che fa ingrassare, forse non posso averla perché sono grassa?

Esempio 2 – “..non c’è più abbastanza aria alla finestra”

Intanto quel giorno di maggio faceva veramente molto caldo, c’era un clima umido e afoso; in classe tutti indossavano la divisa scolastica estiva, camicia bianca mezza manica per tutti, e poi pantalone o gonnellino blu. Francesca stava sudando perciò al gong della campanella scatta dalla sedia per dirigersi alla finestra e godersi il filo d’aria che sentiva arrivare da quella direzione. O almeno era ciò che avrebbe voluto fare.

Già, perché nell’alzarsi di scatto, la gamba incollata alla sedia dal sudore, emette un buffo ma forte rumore, la sedia cade e suscita una fragorosa risata in tutti i suoi compagni. Qualcuno la prende in giro, altri la guardano e sghignazzano parlando tra loro, la maestra sorride e cerca di sdrammatizzare con un “Accipicchia Franci, non voleva proprio lasciarti andare!”. Francesca abbozza un sorriso, fa finta di nulla ma intanto è diventata rosso peperone, dentro sta morendo dalla vergogna; maledice le sue cosce “grasse” ed appiccicose, alza la sedia e si rimette a sedere, non c’è più abbastanza aria alla finestra.

adolescente si vergogna

Il rapporto con il cibo ha radici molto ramificate e profonde

Quel giorno il bambino dell’esempio 1 la mela non l’ha più voluta, ma nei giorni a seguire? E Francesca non è riuscita a superare la vergogna per il proprio corpo a causa di qualche maldestra battuta? Ma davvero è possibile che qualche sporadico episodio possa incidere così tanto per il futuro?

Ovviamente no, niente di tutto questo!

Abbiamo evidenziato nei paragrafi precedenti come fondamentalmente sia una questione quantitativa più che qualitativa; dipende cioè da quante esperienze simili si fanno, da quanta forza (resilienza) si ha per reggerle e per dare loro il giusto significato, e quindi da quale significato si attribuisce a queste esperienze. Quindi sarà molto diverso se il tipo di episodio dell’esempio 1 sarà stato un caso isolato o una consuetudine quotidiana; altrettanto per l’esempio 2 sarà diverso anche se il bambino potrà e riuscirà a verbalizzare il suo disagio. Se potrà sentirsi compreso e supportato nel proprio vissuto, o se invece dovrà fare i conti anche con le ansie genitoriali, o addirittura trans-generazionali, su quel particolare argomento. Ancora. Diverso sarà anche se il bambino è per genetica e indole un soggetto resiliente ed estroverso o piuttosto fragile e introverso.

Perciò se si parla di rapporto con il cibo, le esperienze, gli stili relazionali e gli ambienti socio-culturali di riferimento sono al massimo fattori predisponenti, mai cause certe e univoche. Le variabili da considerare sono molte, perciò è sempre necessaria una valutazione specialistica.

Le ricerche

Sono stati condotti molti studi sull’argomento, tentando di volta in volta di chiarire il più possibile una delle innumerevoli sfaccettature che lo contraddistinguono. Negli ultimi anni ad esempio ci si è soffermati sull’influenza che lo stile alimentare materno durante la gravidanza possa avere su quello del figlio.

La pappa alle carote

La più recente è una ricerca del 2019 condotta dalla dott.ssa Julie A. Mennella bio-psicologa del “Monell Chemical Senses Center” di Philadelphia, in Pennsylvania. Ha provato che persino il comportamento alimentare materno durante la gravidanza ha un ruolo importante in merito allo stile alimentare del futuro bambino.

A 15 gestanti durante l’ultimo trimestre di gravidanza sono stati somministrati 300 ml di succo di carote al giorno, per 12 giorni su 21; ad altre 14 future mamme è stato chiesto invece di non consumarne affatto. Quando i bambini ormai nati avevano circa 3 o 4 mesi, i ricercatori hanno preparato sia pappe a base di “cereali e succo di carote” che pappe a base di “cereali e acqua”. Le mamme dovevano cercare di far mangiare loro i cereali preparati finché non li avessero rifiutati per 3 volte.

Il risultato è stato che i figli delle donne che avevano bevuto il succo in gravidanza hanno mostrato minori reazioni facciali negative verso la pappa con quel sapore rispetto a quella con l’acqua; mentre gli altri mostravano espressioni facciali sia negative che positive in uguale misura tanto verso i cereali alla carota quanto verso quelli all’acqua.

pappa alle carote
L’odore d’aglio

A supporto di questi risultati, dott.ssa Mennella ha riscontrato anche che gli odori impregnano il liquido amniotico.

L’esperimento ha coinvolto 10 donne in procinto di un’amniocentesi. 45 minuti prima a 5 di esse è stata somministrata una capsula contenente aglio, alle altre 5 invece una capsula contenente latte. Fatta l’amniocentesi, è stato chiesto ad un gruppo di 13 adulti di eseguire un esame olfattometrico sui campioni anonimi raccolti da entrambi i gruppi. Quasi il 100% delle risposte all’esame olfattivo sono state corrette.

Il liquido amniotico aveva un odore inconfondibile in entrambi i casi.

aglio in gravidanza
L’odore d’anice

Le particelle di odori e sapori contenute nel liquido amniotico familiarizzano costantemente con i recettori orali e nasali del feto. Ancor di più quando a fine gestazione il feto arriva ad ingerire quotidianamente circa il 50% di tutto il liquido contenuto nel sacco.

In uno studio del 2000 pubblicato sulla rivista scientifica “Chemical Senses”, il dott. Benoist Schaal del Centro europeo di Digione sullo studio dei cibi ha esaminato le reazioni dei neonati all’odore dell’anice. Ha creato due gruppi: il primo composto da madri che hanno mangiato anice durante la gravidanza ed il secondo da madri non l’hanno fatto. I figli nati dal primo gruppo hanno mostrato una preferenza per l’odore di anice, mentre gli altri hanno manifestato risposte neutre o avverse allo stesso odore.

Per la prima volta fu provato che il feto umano ha la capacità di rilevare e memorizzare le informazioni sui gusti e sugli odori esperiti durante la gestazione. Inoltre, osservando le reazioni dei bambini del secondo gruppo, si è visto come abbiano cercato di allontanarsi dall’aroma di anice con la testa ed il corpo.

anice

Insomma sembra proprio che in quanto a odori e a sapori preferiti, i gusti di mamma o di chi ci ha generati, il modo in cui si rapporta al cibo ed il rapporto che noi abbiamo con il genitore più materno, la facciano da padroni!

Dr. Angelo Cirillo
Psicologo Psicoterapeuta

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